Operation Down - l'America si interroga.

Operation Down - l'America si interroga.

L'allarme di Scott Ritter

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Operation Down - l'America si interroga.
Durata: 10min e 21sec

Mentre l'America è alle prese con la questione di chi uscirà vittorioso dal "circo elettorale" che sono le elezioni presidenziali USA del 2024, si parla sempre più spesso della natura esistenziale di queste elezioni e del ruolo svolto dai due candidati primari – la presunta candidata del Partito Democratico, Kamala Harris, e il suo sfidante, il candidato del Partito Repubblicano, Donald Trump – nel portare gli USA sull'orlo del baratro, quando si tratta del futuro istituzionale della stessa democrazia americana. Le scelte non potrebbero essere più nette: l'incarnazione vivente del "politico dell'establishment DEI" (Diversity, equity, and inclusion – Harris) contro la definizione da manuale di "outsider politico populista" (Trump).

Per molti versi, la retorica sulla natura critica della corsa presidenziale del 2024 non è esagerata: in termini di vitalità politica, la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Una vittoria della Harris porrebbe fine al movimento MAGA (Make America Great Again), dal momento che è in gran parte un esercizio populista costruito attorno al culto della personalità che distingue Donald Trump, ormai giunto alla sua ultima corsa politica. Una vittoria di Trump, tuttavia, proietterebbe nel mainstream politico il suo compagno di corsa, J.D. Vance, a cui verrebbe data l'opportunità di rivendicare il trono MAGA nel 2028, creando il potenziale per una corsa MAGA di 12 anni che potrebbe benissimo significare la fine della politica dell'establishment in America come la conosciamo.

L'America ha attraversato numerose competizioni presidenziali nei suoi 248 anni di storia, in cui si può dire che l'essenza della nazione era in gioco. Il primo di questi ebbe luogo nel 1800, quando Thomas Jefferson sconfisse John Adams in una corsa che decise, letteralmente, il futuro degli Stati Uniti, ponendo fine alla presa conservatrice dei federalisti sul potere politico e sostituendola con il più progressista partito democratico-repubblicano. La vittoria di Andrew Jackson nel 1828 su John Quincy Adams vide il riemergere dell'ideologia federalista, sotto forma del nuovo Partito Democratico, prevalere su Adams e sui repubblicani in un'elezione che servì come base per l'emergere del sistema bipartitico che ancora domina sulla politica americana oggi. Ma furono sopratutto le elezioni del 1860, vinte da Abraham Lincoln, che portarono letteralmente con sé decisioni di vita o di morte e che spinsero l'America in una guerra civile. Fu, in realtà, l'unica elezione americana che può essere veramente descritta come esistenziale in termini di conseguenze.

Anche la corsa presidenziale del 2024 avrà un impatto diretto sulla sopravvivenza esistenziale degli Stati Uniti, del popolo americano e del mondo intero, ma non a causa del suo esito. La dura realtà è che, indipendentemente da chi tra i due candidati vincerà a novembre, la politica americana nei confronti della Russia, specialmente quando si tratta di posizione nucleare e controllo degli armamenti, è programmata per ottenere lo stesso risultato. Ed è questo risultato che segna il destino di tutta l'umanità, a meno che non si riesca a trovare un modo per sollecitare un ripensamento critico delle politiche sottostanti che producono il risultato atteso.

Una futura amministrazione Harris è sulla buona strada per continuare una politica che si impegna per la sconfitta strategica della Russia, l'abbassamento della soglia per l'uso di armi nucleari in Europa, la risoluzione dell'ultimo trattato sul controllo degli armamenti rimasto (New START) e il ridispiegamento di missili a medio raggio in Europa nel 2026.

Donald Trump, nel frattempo, ha offerto una retorica che ha portato molti a credere che avrebbe posto fine al conflitto in Ucraina, aprendo così la porta a migliori relazioni con la Russia. Ma questa politica si basa sul concetto della "telefonata perfetta" tra Trump e il presidente russo Vladimir Putin, in cui il leader russo accetta i termini dettati dagli USA riguardo all'Ucraina, che sarebbero ben lontani dagli obiettivi dichiarati della Russia. Trump ha chiarito che se Putin non si inginocchia sull'Ucraina, inonderà l'Ucraina di armi il che, fondamentalmente, sarebbe la stessa politica di Biden, ovvero sconfiggere strategicamente la Russia ma con gli steroidi.

Fu Trump a ritirare gli States dal Trattato INF nel 2019, avviando così la politica che prevede il ritorno delle armi INF (Intermediate-Range Nuclear Forces) statunitensi in Europa nel 2026. Trump non è favorevole ai trattati sul controllo degli armamenti, quindi l'idea di salvare il New START o sostituirlo con un nuovo trattato è messa in discussione dalla realtà. Indipendentemente dal vincitore tra i due principali candidati a novembre, gli Stati Uniti stanno andando verso una grave crisi con la Russia in Europa nel 2026. La reintroduzione di sistemi con capacità INF da parte degli Stati Uniti innescherà un dispiegamento simile da parte della Russia con capacità nucleare destinati a colpire l'Europa.

Negli anni '80, il dispiegamento di sistemi INF da parte degli Stati Uniti e della Russia aveva creato una situazione intrinsecamente destabilizzante in cui un errore avrebbe potuto scatenare una scambio nucleare. L'esperienza di Able Archer 83, un'esercitazione di comando e controllo della NATO che ebbe luogo nell'autunno del 1983, testimonia questa possibilità. I sovietici interpretarono quell'esercitazione come una copertura per un tentativo di First Strike nucleare da parte della NATO e misero le loro forze nucleari in allerta. Non c'era spazio per l'errore: un errore di calcolo o di valutazione avrebbe potuto portare alla decisione sovietica di prevenire quello che credevano essere un imminente attacco nucleare della NATO, innescando così una guerra nucleare su vasta scala tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica.

Il trattato INF, firmato nel 1987, aveva rimosso queste armi destabilizzanti dall'Europa. Ma ora quel trattato non c'è più, e le armi che avevano portato l'Europa e il mondo sull'orlo della distruzione negli anni '80 stanno tornando nel continente europeo in cui le nozioni di coesistenza pacifica con la Russia sono state sostituite da una propaganda che promuove l'inevitabilità del conflitto.

Quando si unisce l'esistenza di un obiettivo politico (la sconfitta strategica della Russia) con una politica di sostegno a una vittoria ucraina sulla Russia, basata sulla riconquista del controllo fisico della Crimea e dei quattro territori della Nuova Russia (Kherson, Zaporizhia, Donetsk e Lugansk), si ottiene una ricetta per il disastro. Questa politica, se avesse successo, scatenerebbe automaticamente una risposta nucleare russa poiché, dottrinalmente, le armi nucleari russe verrebbero utilizzate per rispondere a qualsiasi scenario non nucleare in cui è in gioco la sopravvivenza esistenziale della Russia. La perdita della Crimea e dei Nuovi Territori è come se gli Stati Uniti perdessero il Texas, la California o New York: una situazione esistenziale letteralmente.

Eppure, l'amministrazione Biden, ha dichiarato che cercherà di aggiungere nuove armi nucleari "senza limitazioni" una volta scaduti i limiti del New START (febbraio 2026) sulle armi dispiegate, ovvero l'annuncio di una nuova corsa agli armamenti fuori controllo. È facile immaginare che la Russia sarà costretta a eguagliare questa attività di riarmo. Infatti, il recente accordo tra Stati Uniti e Germania per il ridispiegamento dei missili a medio raggio sul suolo europeo nel 2026, ha visto, come risposta, la Russia dichiarare il dispiegamento dei propri missili in Bielorùssia. In futuro la Karelia, le regioni del Mar Baltico o la stessa Kaliningrad potrebbero ricevere questi Sistemi d'arma, che colpirebbero le principali Capitali Europee in pochi minuti dal loro lancio. Insomma si sta di fatto ricreando l'instabilità che minacciava la sicurezza regionale e mondiale negli anni '80.

Quando si analizzano tutti questi elementi insieme, si può giungere alla conclusione inevitabile che l'Europa (e il mondo intero) si troverà di fronte a una crisi esistenziale che potrebbe raggiungere il culmine nell'estate del 2026. Il potenziale utilizzo di armi nucleari, sia per progetto che per incidente, è concreto, creando una situazione che supera la Crisi dei missili di Cuba in termini di rischio di una guerra nucleare di un ordine di grandezza senza precedenti.

Senza un cambio di strategia politica da parte degli USA, che si concretizzi nell'abbandono dell'attuale politica degli Stati Uniti che prevede la sconfitta strategica della Russia come obiettivo primario, sostituendola con una dichiarazione politica, che renda la coesistenza pacifica con la Russia l'obiettivo strategico della politica estera e di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, tale rischio potrebbe divenire realtà. Tale riorientamento politico includerebbe, per necessità, l'obiettivo di ripensare i quadri di sicurezza europei che rispettino le legittime preoccupazioni di sicurezza strategica della Russia (e dell'Europa), incorporando la necessità di un'Ucraina neutrale e di un'Europa priva di tali sistemi d'arma posizionati sul loro territorio.

Infine, si dovrebbe dichiarare l'impegno a collaborare con la Russia nella negoziazione, e nell'attuazione, di un nuovo trattato strategico sul controllo degli armamenti, che preveda tagli consistenti agli arsenali nucleari strategici delle parti, una riduzione sostanziale del numero di armi nucleari che ciascuna parte può detenere, oltre a porre limiti alla difesa missilistica tattica in generale.

Negli Stati Uniti questa alternativa però non è presente nel dibattito presidenziale, anche se, per fortuna, alcuni la stanno sollevando: per maggiori informazioni visitate il sito web: "Operation Dawn" - un progetto lanciato da Scott Ritter - dal quale ho poi estratto questo articolo.

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